Intervista: “Paolo Ober” il potere del concetto fatto forma e colore

Paolo Ober

E’ attivo, ed espone le sue opere dai primi anni ’80. Si è interessato all’arte multimediale fin da quell’epoca proponendo diversi spettacoli con diapositive in dissolvenza e commento sonoro sincronizzato, tra cui lo sperimentale “Immagini libere” (1996) proposto più volte in esposizioni di arte contemporanea. Ha realizzato alcuni video per il gruppo musicale Trotanix (periodo 2003-07) e parecchi videoart, in parte ora visibili su Youtube. Dal 2012 al 2016 ha collaborato con la compagnia internazionale di teatro contemporaneo La Quarta Parete montando clip video funzionali all’acting e alla scenografia. Le visioni oniriche e surrealiste dei video fanno tesoro anche della sua ricca formazione pittorica e grafica. Nella pittura esprime le sue emozioni in aneddoti affidati a immagini semplificate e sinuose che raccontano le proprie storie in forma simbolica. Le tematiche corrono liberamente in ogni direzione e per lo più prendono ispirazione da fatti reali visti o vissuti. Ma non disdegnano testi poetici o, molto spesso, spunti musicali e letture. In questa narrazione fantastica hanno un ruolo essenziale i colori, sempre considerati come veri interpreti delle emozioni. Nella composizione delle sue opere, specie negli ultimi anni, si dà una grande importanza alla geometria, dove vengono riconosciuti rapporti ed equilibri di armonia universale.


Come hai cominciato e quando hai incominciato a creare?
Da bambino il disegno era per me un gioco magico. Mi veniva incredibilmente facile e questo era una meraviglia. Ci passavo un mucchio di tempo. Tutt’ora mi stupisco, mi emoziono, (e perché no, mi diverto) nel vedere una fantasia che prende forma tra le mie mani. Come se fosse un qualcosa dotato di vita propria. Questa fortuna mi ha accompagnato costantemente con semplice naturalezza. In gioventù amavo sfornare a richiesta bozzetti umoristici e anche cimentarmi nel ritratto ed esercizi di figurazione… ma questo è un solo un inizio apparente.
Secondo certe opinioni l’inizio va fatto coincidere con il momento in cui ho affrontato per la prima volta il riscontro di un vero pubblico. Ciò sarebbe avvenuto alla fine degli anni settanta. Non con una mostra, bensì con un’avventura multimediale, quando assieme ad alcuni amici abbiamo proposto uno spettacolo di diapositive e commento sonoro. Queste sinergie, dove s’intreccia l’uso di diverse discipline e diversi medium, mi attirano molto.
Io vedo però una fase assai decisiva, intorno ai 21/23 anni d’età, dove assieme ad un mutamento di umori e di situazioni umane ho cominciato a dare molta importanza a ciò che proviene da dentro, al costante desiderio di dare una forma ai pensieri e alle emozioni. Ad un’idea nuova della spiritualità. Con un conseguente modo nuovo d’intendere l’arte. È quello il momento che potrebbe essere considerato come il vero inizio della strada.

Cosa conta davvero nel tuo lavoro?
Paradossalmente, se sinceramente lavoro cercando un’estasi, un tuffo dentro me stesso, poi risulta invece determinante la reazione degli altri. Per comprendere quanta parte delle mie emozioni siano arrivate a destinazione e in che modo. Si tratta di una cosa che può turbare, non sempre gratificante, ma è importante anche incassare critiche ed elaborare dubbi.

A cosa stai lavorando attualmente?
Attualmente penso all’armonia come ad un codice preciso e ordinato che attraversa tutta la materia fisica. Penso che la comune percezione della bellezza risponda a regole universali. Per questo sto indagando gli equilibri della geometria e dello spazio. Ma senza farne un’ossessione, con una porta sempre aperta all’istinto e alla divagazione occasionale.

Qual è il mezzo espressivo che ti fa sentire più a tuo agio? E perché e come hai scelto questo tipo di mezzo espressivo e tecnica?
Per quanto riguarda la pittura ho scelto ormai da tempo l’utilizzo di una figura umana molto stilizzata per farne un ideale interprete formale, per garantire un facile piano di racconto mimico e simbolico dei concetti. Ma il vero protagonista è sempre il colore. Impiego i colori mettendoli puri uno accanto all’altro, cercando contrasti energici, movimenti, effetti ottici. Si è poi consolidato l’uso della tecnica divisionista, che amo. In sintesi, nella tecnica e nel disegno cerco la via più semplice per sentirmi a mio agio.

Quali sono i tuoi temi preferiti e Che cosa cerchi di comunicare tramite la tua espressione artistica?
Una gran quantità di idee vengono dalla musica. Sia dalle impressioni date dal suono che dai testi delle canzoni. A volte lo spunto viene dalla lettura di un libro, altre volte da aneddoti o situazioni che accadono nella realtà quotidiana. Quindi un ampio ventaglio di temi. Niente di preordinato.

Quale momento preferisci nella realizzazione? Parlaci del processo creativo dalla fase iniziale alla finale.
La scintilla iniziale. Quando dal nulla appare un qualcosa, ancora informe e nebuloso, da catturare subito, da fissare in un angolo della mente.
In genere parto da uno schizzo brutale, buttato giù in fretta e poi messo da parte assieme a tanti altri. Poi un giorno, se ancora mi stuzzica, lo disegno nuovamente ragionando un po’ meglio sulla forma grafica ed i suoi equilibri.
Magari cercando una sintesi e una essenzialità dentro una serie di varianti. A volte la cosa si ferma qui. Oppure riesce ad attirare ancora la mia attenzione dopo molto tempo. Allora finalmente cerco di immaginare quali incontri/scontri di colori potrebbero mettere in movimento il racconto contenuto nell’immagine. I piani di profondità, le impressioni.

L’arte per te che cos’è e qual è, secondo te, il ruolo dell’arte contemporanea in un mondo in transizione ed in crisi come quello in cui viviamo?
Mi piace ricordare, quando mi viene posto questo quesito, un aforismo di Oscar Wilde “L’artista è creatore di cose belle. Rivelare l’arte e nascondere l’artista è il fine dell’arte”. Tutt’altro che banale. Ecco perché preferisco cercare (e tentare di trasmettere) la gioia, in quello che faccio. Assaporo un desiderio di bellezza. E lo voglio condividere.

Il colore: che cos’è per te? e la forma?
Il colore e la forma, come le parole e la sintassi, sono elementi di un linguaggio. Un veicolo di comunicazione. E’ interessante vedere, peraltro, come ogni colore cambi “umore” se accostato ad un altro. Alcuni sono amici per la pelle, altri si respingono. C’è chi urla, chi annichilisce, chi si ravviva e chi s’intristisce. Una varietà impressionante di reazioni diverse che senz’altro passano all’osservatore emozioni particolari. Anche le forme, hanno potere comunicativo. Non c’è alcun dubbio, per esempio, che una forma arrotondata dia impressioni diverse da una forma spigolosa!

Quali sono gli artisti stranieri che ti affascinano o t’ispirano? E gli artisti italiani che ami di più?
Mi piace Chagall per l’immaginario mistico e la visione sognante. Magritte per il senso dell’umorismo. Questi ai primi posti. Ma ce ne sono tanti. In genere cerco l’aspetto buono in tutto quello che vedo. Tra gli italiani non smetterò mai di ammirare i nostri rinascimentali… Però in nessuno trovo veri e propri modelli, non ho riferimenti speciali.

Qual è il tuo rapporto, e la tua esperienza, con internet e con i social network in ambito professionale?
Amore e odio. Nella vita ho ampiamente sfruttato con entusiasmo dispositivi tecnici e digitali per creare e per trovare vie alternative alla comunicazione, tra video, grafica al computer, fotografia, proiettori e composizioni sonore… Per rendermi infine conto che tutte queste possibilità hanno una fragilità impressionante. Infatti tutta la tecnologia è a “rapida obsolescenza”. Lavori costruiti con impegno e parecchie ore di lavoro svaniscono nel nulla e restano inutilizzabili quando mutano protocolli internet, linguaggi informatici, dispositivi, attrezzature. Si creano cose che poi scompaiono come se non fossero mai esistite, soltanto perché si rompe una macchina o viene sostituita da un aggeggio “migliore”. Poi, nel particolare, internet regala la sensazione di abbracciare il mondo, di avere contatti quasi telepatici con chiunque. Ma in realtà si sta chiusi in perenne solitudine davanti a uno schermo. E se salta la corrente… sei nel buio!

Hai un’opera alla quale sei particolarmente legato?
Capita ogni tanto la sensazione che un’opera sia quella “giusta”. E per un po’ diventa allora un’immagine guida. Come una pietra d’angolo, che segna una svolta e una direzione. Ma lo sguardo è rivolto in avanti, c’è una continua evoluzione. Certamente quella preferenza cadrà prima o poi su un nuovo punto di riferimento.

Cosa ti aspetti dal futuro? Sogni nel cassetto?
Con l’avanzare dell’età, sempre di più l’arte diventa per me un’intima necessità interiore. Lontana da illusioni e aspettative particolari, ma indispensabile per la riflessione e il benessere dello spirito. Sarò comunque sempre contento di frequentare i circoli culturali e artistici, restare in contatto con artisti, musicisti, intellettuali. Parlare di follie e progetti comuni. Sentire di non essere solo.
Mi piacerebbe scrivere un certo romanzo che ho nella mente… chissà.

Grazie Paolo per esserti messo in gioco con questa intervista
Grazie a voi!

Link al sito:
http://www.arteober.com

facebook: https://www.facebook.com/paolo.ober/

You tube: channel arteober

intervista realizzata da: Tiziana Giammetta
2020, 18 dicembre

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